Studio Legale Valla

Lunedì 02 Gennaio 2023
Sospensione dal servizio dei docenti universitari a seguito di rinvio a giudizio: l’Università ha l’obbligo di valutare anche l’aspettativa retribuita e la disponibilità ex art. 3 l. 97/2001
TAR Bari, sez. II, sent. n. 1495 del 2.11.2022


Il ricorrente, docente universitario, ha impugnato il provvedimento con cui l'Università ha disposto la sospensione cautelare dal servizio del dipendente a seguito del rinvio a giudizo (disposto dopo tre richieste di archiviazione) per fatti che, seocndo le contestazioni della Procura della Repubblica, risalivano al 2012/2013.

Annullando il provvedimento cautelare impugnato, in accoglimento del ricorso, il Tar Bari ha così stabilito:


"In riferimento all’art. 3 della legge n. 97 del 2001 (“Norme sul rapporto tra procedimento penale e procedimento disciplinare ed effetti del giudicato penale nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche”), trattasi di disposizione che condivide la medesima ratio dell’art. 91 del T.U. imp. civ. ovvero quella di tutelare l’immagine e l’efficienza della p.A.

L’art. 3 e il successivo art. 4 (“Sospensione a seguito di condanna non definitiva”) disciplinano gli effetti che nel rapporto di impiego pubblico sono destinati a collegarsi prima al rinvio a giudizio, poi alla condanna non definitiva del dipendente per i più gravi delitti contro la pubblica amministrazione. 

Alla condanna non definitiva si ricollega automaticamente la sospensione dal servizio; quest’ultima, quindi, perde il carattere discrezionale, che le era proprio nel previgente ordinamento. L’amministrazione di appartenenza viene così esonerata da un compito valutativo e motivazionale.

Per ciò che attiene alla fase del rinvio a giudizio, la scelta normativa è nel senso:

– di non escludere la possibilità che sia disposta la sospensione dal servizio in conformità a quanto previsto dai vari ordinamenti delle amministrazioni di appartenenza;

– ma comunque di imporre – nei casi in cui la sospensione non venga discrezionalmente scelta dall’Amministrazione – il trasferimento del dipendente ad un ufficio diverso da quello, in cui prestava servizio, senza incidere sul suo munus funzionale e sulle prospettive di carriera. 

Se al trasferimento di ufficio con identità di mansioni ostano ragioni di opportunità legate al discredito che può derivare dalla permanenza nel medesimo ufficio, l’amministrazione può procedere ad un trasferimento di sede o all’attribuzione di un incarico differente ovvero ancora alla collocazione del dipendente in posizione di aspettativa o di disponibilità con salvezza del trattamento economico di base.

Ancora una volta le ragioni della scelta normativa sono evidenti: ridurre per quanto è possibile l’ambito della sospensione discrezionale (e quindi il contenzioso che di regola questa determina) attraverso l’alternativa adozione di una serie di misure meno incisive per il dipendente (comunque assistito dalla presunzione dell’innocenza) e al contempo idonee a porre l’amministrazione al riparo dalle conseguenze negative (in termini di immagine), che si collegherebbero al permanere in servizio nel medesimo ufficio del dipendente rinviato a giudizio.

È di palmare evidenza che la clausola di salvezza di cui all’incipit dell’art. 3 sta a significare che l’Amministrazione conserva il potere discrezionale di sospendere in via cautelare dal servizio in tutta la sua latitudine anche dinanzi al rinvio a giudizio per uno dei reati ivi indicati.

L’obbligo di trasferimento del dipendente rinviato a giudizio, infatti, è previsto a carico dei pubblici amministratori che, pur ricorrendone i presupposti, ritengano di non avvalersi della sospensione facoltativa (cfr., Cass., Sez. lav., n. 11988/2016, cit.).

 

Nel caso di specie, l’Amministrazione ha esercitato il potere discrezionale di cui all’art. 91 del T.U. imp. civ. e non il potere vincolato di cui all’art. 3 della l. n. 97/2001.

Spetta, infatti, al Collegio qualificare il provvedimento a prescindere dai richiami normativi contenuti nel provvedimento; provvedimento che, in base all’effetto disposto, è chiaramente una sospensione cautelare dal servizio.

La particolarità della vicenda deriva dal fatto che la decisione dell’Amministrazione di esercitare il potere ex art. 91, che astrattamente senz’altro le compete, è derivata non solo e non tanto dalla ritenuta sussistenza della gravità dei reati e del clamore mediatico, ma dalla constatazione che le misure di cui all’art. 3 non sono state ritenute idonee a neutralizzare il pregiudizio connesso alla permanenza in servizio del ricorrente; pregiudizio che, con tutta evidenza, correttamente è stato ritenuto prescindere dalla struttura di afferenza.

Rammenta il Collegio che la valutazione dell’Amministrazione in materia di sospensione cautelare dal servizio costituisce una tipica manifestazione del suo potere discrezionale, sindacabile dal giudice amministrativo solo ove risulti manifestamente irragionevole (in termini, ex multis, Consiglio di Stato n. 194/2014).

Dinanzi al rinvio a giudizio di per due gravi reati, dei quali uno rientrante fra quelli previsti dall’art. 3, l’Università ha deciso sull’an della sospensione dopo aver valutato l’inefficienza delle misure di cui all’art. 3 l. n. 97/2001.

I due strumenti sono alternativi sicché non vi è dubbio che la scelta sia rimessa all’apprezzamento discrezionale dell’Amministrazione.

 

Tuttavia, coglie nel segno il ricorrente allorquando evidenzia che l’Amministrazione si è arrestata allo scrutinio di efficacia del solo trasferimento d’ufficio e di sede senza valutare la possibilità dell’aspettativa e della disponibilità, pur previste dall’art. 3, comma 2.

Sussistenti in astratto i presupposti per l’esercizio del potere di sospensione cautelare dal servizio, come evidenziato nei punti che precedono, ove l’Amministrazione abbia autonomamente inteso, tuttavia, subordinare l’esercizio di tale potere alla previa verifica della percorribilità della “diversa strada” di cui all’art. 3, appare irragionevole non prendere in considerazione tutte le misure ivi previste, comprese l’aspettativa e la disponibilità.

In tal senso, le censure in esame meritano accoglimento e, pertanto, il provvedimento impugnato va annullato con salvezza del riesercizio del potere".

 


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